Prati verdi e laghetti alpini, malghe e masi, mucche e chiesette, campi da golf e aria pulita, salumi e formaggi. E poi, alzando lo sguardo, da una parte le Dolomiti di Brenta e dall'altra i ghiacciai dell'Adamello. Che cosa poteva mai mancare a Caderzone, "cuore verde della Val Rendena", per essere un borgo perfetto? Non mancava proprio nulla, però, si sa, i trentini sono gente che non si accontenta mai. E allora è stato riscontrato che mancava qualcosa al nome stesso del paese.
Problema sorto dopo che la valorizzazione della fonte ferruginosa S.Antonio (sgorga sopra il paese e i suoi benefici erano già stati apprezzati nel 1635 dal principe-vescovo di Trento, Carlo Emanuele Madruzzo) aveva portato nel 2004 alla realizzazione di un moderno centro termale, presto allargato a centro wellness e beauty, con prestigioso albergo e ristorante adiacente. Identificato il problema, si è subito posto rimedio, con un referendum popolare per allungare il nome del paese: non più solo Caderzone, ma Caderzone Terme. Ed è così che dal 2006 il paese si presenta ai visitatori, che non lo popolano più solamente d'estate, ma che arrivano tutto l'anno, a curarsi e a rilassarsi in un “Borgo della Salute” che riunisce uno accanto all'altro le Terme della Val Rendena, la ferruginosa Fonte S. Antonio, il Centro Benessere direttamente collegato all'Albergo Palazzo Lodron Bertelli (nuova “residenza storica” a 4 stelle con undici fra camere e suite), e il Museo della Malga custode degli antichi strumenti per la lavorazione del latte e dei suoi derivati.
Caderzone Terme è adagiato nella grande piana alluvionale del fiume Sarca, cuore dell'economia agricola locale, fra immense distese verdi, di fatto l’unico e significativo ambiente a prato che rimane lungo la Val Rendena fino a Tione. Qui si può passeggiare ammirando stalle e case agricole in pietra, con il fienile superiore in legno. Edifici tradizionali come il Maso Curio, la cui esistenza è attestata sin dal Trecento. Si tratta di un vero monumento storico e architettonico, però ancora ben vivo, tanto che vi si continua ad allevare il bestiame con modalità tradizionali. Ma tutto in questo edificio sembra raccontare storie di un'altra epoca: lo zoccolo in muratura, il tabià in legno, le possenti colonne in legno di larice poggiate su pietre di granito, il tetto a capanna coperto di scandole, il foro nel pavimento superiore (la “finera”) per calare il fieno nella stalla. Un affresco sulla facciata orientale, datato 1537 ma purtroppo ormai rovinato, raffigura sant'Antonio Abate, protettore degli animali, e santa Barbara, protettrice dagli incendi, rappresentata con il maso che brucia colpito da un fulmine. Cosa effettivamente accaduta, come mostrano i segni che il fuoco ha lasciato qui e là sul legno di larice.
Di origini antichissime è, in paese, la chiesa di San Biagio (in realtà, come mostra la scritta in latino sopra la facciata, dedicata a san Biagio, san Giuliano e a Maria Vergine), ricostruita a metà dell'Ottocento ma che esisteva già nel Trecento. Al suo interno, oltre che all'altare maggiore in marmo di Carrarar e ad affreschi otto e novecenteschi, si segnala una originale Via Crucis in pino cimbro, opera dello scultore gardenese Vincenzo Mussner, le cui 14 stazioni con rappresentano episodi della Passione morte di Cristo differenti da quelli abituali.
I veri tesori di Cadezone Terme, però, sono fuori del paese, nel paesaggio che lo circonda. Gioielli paesistici come le quattro malghe: malga Campo, Campastril, S.Giuliano e Garzonè. Luoghi da idillio, come lo sono i laghetti alpini di San Giuliano, Garzonè e Vacarsa, incastonati alle falde dell'Adamello e raggiungibili a piedi con belle escursioni su sentiero di montagna. Presso il laghetto di San Giuliano, a quasi duemila metri, sorge poi l'antichissima chiesetta-eremo sorta forse addirittura nel 1292 dove il santo avrebbe si sarebbe ritirato. Divenuto famoso per tutta una serie di leggende che lo vedono sempre sconfiggere o ammansire i serpenti, san Giuliano di Cilicia, guerriero e martire, non poteva che essere rappresentato in un quadretto nella chiesetta (quella attuale risale al 1848) mentre tiene in mano due vipere soffocate. Quassù, in festoso pellegrinaggio, l'ultima domenica di luglio sale la popolazione di Caderzone, portando a spalla dal paese la statua del santo eremita abitualmente conservata nel chiesa parrocchiale.
Testo: Roberto Copello - Foto: Comune di Caderzone Terme
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